E arriverà anche il silenzio

E arriverà anche il silenzio

di Andrea Poma


  1. “La gente non vuole la guerra, perché mai un povero contadino zoticone vorrebbe rischiare la propria vita in guerra quando il meglio che gli possa succedere è tornare alla sua fattoria sano e salvo? Non la vogliono i russi, né gli inglesi né gli americani, e nemmeno i tedeschi. Si capisce. E’ compito dei leader del paese orientarli, indirizzarli verso la guerra. E’ facilissimo: basta dirgli che stanno per essere attaccati, denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo e perché mettono in pericolo il paese. Funziona così in ogni Stato, sia esso una democrazia, una monarchia, una dittatura. […] Bisogna spaventarli, inculcargli la paura, bisogna imbottirli di paura come si fa con le oche finché non gli scoppia il fegato per fare il pâté, bisogna fare in modo che quella paura fermenti e si trasformi in odio, un odio assoluto, irrazionale, sguaiato”.[1] La profezia scagliata durante il Processo di Norimberga dal “Maresciallo del Reich” Hermann Göring rimbomba sinistra e famigliare anche ai nostri giorni. Sottace un elemento fondamentale: il potere della parola. La Germania nazista eresse il proprio consenso di massa sfruttando la retorica sprezzante della propaganda, creando nemici assetati di vendetta all’esterno dei propri confini, cementificando il tessuto sociale attorno ai princìpi degerativi del nazionalsocialismo e distillando ondate di paura e odio razzista e antisemita. La parola restava al centro dello schema finale. Parole per ghermire lo spirito umano, incantarlo, ingannarlo, terrorizzarlo, tradirlo, per colmarlo d’odio e paura.
  2. Con il passare dei decenni il valore della parola si è perso, fino a giungere nell’era virtuale dei social media, laddove l’apparente democratizzazione delle opinioni si è repentinamente trasformata nella tangibile “invasione di legioni di imbecilli, che ritengono di avere la stessa autorità di un Premio Nobel”[2]. Fintantoché i soggetti rientrano nell’alveo dei “perfetti sconosciuti” gli effetti collaterali del loro lessico possono essere marginali, ben diverso il caso in cui i protagonisti della cronaca siano le parole di un rappresentante dello Stato. E così il Ministro dei Trasporti Toninelli (M5S) a proposito del nuovo ponte a Genova desidera “un luogo in cui le persone si ritrovino, possano vivere, giocare, mangiare”, quando dopo oltre 40 giorni dalla tragedia non abbiamo ancora alcuna certezza sui costi e i tempi previsti per la ricostruzione, visto che il Governo ha sbandierato ai quattro venti un decreto vuoto, senza risorse e commissario. Anche il Ministro dello Sviluppo Economico Di Maio utilizza le parole in modo leggero e superficiale, come dimostrano la vana prova di forza contro l’Europa “…se la Commissione Europea non decide nulla sulla Diciotti, io e tutto il M5S non saremo disposti a dare più 20 miliardi di Euro all’UE ogni anno…” (a stretto giro la risposta del Commissario Oettinger ha riportato il nostro Ministro sul pianeta Terra, ricordando che l’Italia versa solo 3 miliardi di Euro netti al bilancio UE), o le ripetute gaffe elementari “Siamo composti dal 90% di acqua” o “Taranto non ha musei degni della Magna Grecia”. Vi è poi chi utilizza le parole con tono minaccioso o violento, lambendo pericolosamente i solchi della normale dialettica democratica. E così il Responsabile della comunicazione di Palazzo Chigi Rocco Casalino afferma “Nel M5S è pronta una mega vendetta […] se poi all’ultimo non dovessero uscire fuori i soldi del reddito di cittadinanza, tutto il 2019 sarà dedicato a far fuori una marea di gente del MEF. Non ce ne fregherà veramente, ci sarà veramente una…cosa ai coltelli”. Possiamo intuire che Casalino con l’espressione “cosa ai coltelli” si riferisse alla “Notte dei lughi coltelli” (Nacht der langen Messer) del 1934, quando il regime nazista epurò con decine di omicidi gli oppositori politici e gli intellettuali scomodi. Non possiamo poi dimenticare il Ministro degli Interni Salvini che dopo aver ricevuto la notifica dell’avviso di garanzia della Procura di Palermo per il caso Diciotti ha tuonato in diretta streaming: “Io sono un organo dello Stato votato da voi ed eletto dal popolo, non come i magistrati”. Peccato però, che l’articolo 92 della Costituzione affermi che i ministri vengono nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio. Mai si era visto nella storia repubblicana un Governo così poco attento all’uso delle parole. Un governo che tenta di innalzare lo scontro politico per mascherare gli insuccessi, l’immobilismo e le difficoltà nel mantenere le promesse elettorali. Un Governo che utilizzasse toni e minacce ricorrenti ai limiti dello stato di diritto.
  3. In conclusione consiglierei di far proprio un ammonimento di Mark Twain: “La parola giusta può essere efficace, ma nessuna parola è tanto efficace quanto un silenzio al momento giusto”. Arriverà mai dunque il silenzio a portar consiglio a taluni nostri politici? Ai posteri l’ardua sentenza.

[1] G.M. GILBERT, Nuremberg Diary, DeCapo Press, 1995, pp. 488.

[2] Si vedano a tal proposito le parole di Umberto Eco (http://www.lastampa.it/2015/06/10/cultura/eco-con-i-parola-a-legioni-di-imbecilli-XJrvezBN4XOoyo0h98EfiJ/pagina.html).